«Nella vita le cose spesso succedono non perché le hai programmate, ma perché ti trovi in un percorso»: a pronunciare questa frase non è stata (RI)GENERIAMO, sebbene la metafora del percorso, dei sentieri e del cammino ci sia assai affine. È stato Paolo Bassetti, imprenditore di lungo corso e di riconosciuto successo, per giunta sostenibile. Dopo aver infatti fondato e condotto per un quarto di secolo Saponificio Gianasso, azienda ligure (poi ceduta al gruppo Mirato) che col marchio “I Provenzali” è diventata leader in Italia nel campo della cosmesi naturale e uno dei più noti case study di impresa eco-sostenibile, Bassetti ha avviato una nuova avventura sostenibile: insieme alla compagna Rosa è gestore di Cà del Buio, Eco Bed&Breakfast sulle colline di Finale Ligure, vicino a Finalborgo, uno dei più bei borghi d’Italia. Inaugurato solo un anno fa, ha già un record invidiabile: è la prima struttura ricettiva in Liguria con la certificazione energetica e ambientale CasaClima Welcome.

Qual è il percorso che l’ha condotta da “I Provenzali” a Cà del Buio?

La storia di Saponificio Gianasso è fatta di molte cose: un gruppo familiare molto unito; due giovani, mio cugino e io, che lo abbiamo fondato a 25 anni quando non avevamo paura di rischiare e sbagliare; la determinazione a far vivere l’impresa con le sue risorse e a reinvestire gli utili; l’impronta aziendale profondamente votata alla sostenibilità, col sottoscritto che andava a “scocciare” tutti quanti chiedendo cosa si potesse fare di più e come. Importantissimo anche l’aver frequentato l’associazione EticLab, che mi ha permesso di acquisire conoscenze e di fare esperienze come e più che un corso di laurea. La scelta di vendere non è stata facile emotivamente, perché l’azienda era la mia vita e pensavo l’avrei tramandata. Siamo stati felici comunque di aver trovato una controparte come gruppo Mirato, che ha garantito la permanenza dell’azienda a Genova e il mantenimento dell’intera forza lavoro, un elemento quest’ultimo che non è stato sollevato per primi da noi durante la trattativa, ma che ne è diventato poi un caposaldo. È stata una scelta dettata anche dal fatto che negli ultimi anni, specie dopo un bellissimo evento sulla sostenibilità organizzato con Rossella Sobrero (promotrice del Salone della CSR e dell’Innovazione Sociale, ndr) a Cascina Triulza durante Expo 2015, pativo l’interlocuzione con il mondo della grande distribuzione, che mi sembrava procedere su binari lontani da quelli su cui intendevo proseguire io. Vendere, quindi, ha aperto nuove opportunità. In quel periodo, inoltre, con la mia compagna eravamo giunti alla consapevolezza che era tempo di cambiamenti, e aspettavamo una bambina: motivazioni a mille, insomma! Anche se a chi mi chiedeva cos’avrei fatto dopo, rispondevo che non lo sapevo. Sapevo però che sarebbe stato qualcosa da “toccare” con le dita delle mie mani e da “contenere” tra le mie braccia. E che volevamo andare via dalla città.

Perché avete scelto Cà del Buio?

Cercavamo sia a Ponente che a Levante di Genova. Cà del Buio è stato uno dei primissimi immobili che abbiamo visto. Tornammo varie volte a visitarlo e ne fummo stregati: era in condizioni disastrose, ma è una costruzione del 1400, in pietra rosa di Finale, che non si cava più da un secolo. Un fascino infinito.

Che idea imprenditoriale avevate?

Vedevamo Cà del Buio come una sorta di matrioska, con potenzialità una dentro l’altra. È un luogo bellissimo per le vacanze. Oltre che per viverci. E lo è pure per avviare un’attività ricettiva. Inoltre, c’è del terreno intorno, per cui un domani si potrebbe pensare a un’attività agricola. Ovviamente sostenibile.

Cosa caratterizza l’impronta sostenibile di Cà del Buio?

Volevamo soprattutto che fosse un’operazione di recupero, che la storia e la riconoscibilità di questo immobile fossero preservate a ogni costo. Anzi, con il recupero volevamo dare il nostro contributo per conservare e magari dare nuovo impulso alla vita del territorio, che è prettamente rurale e fatica ad attrarre nuovi residenti, con una campagna che rischia di perdersi. Ci sono voluti quattro anni di lavoro per ristrutturare, più un altro anno per aprire l’attività, a luglio 2023. Tra l’altro con l’emergenza Covid di mezzo. È stata una sfida lunga e complessa, che ha richiesto pazienza. Volevamo farne una casa passiva, che cioè funziona quasi senza energia, anche se non era certo un immobile concepito, secoli fa, per l’efficientamento energetico. Comunque ci siamo andati molto vicino: si partiva da una classe energetica, come mi disse il progettista, ben al di sotto della “G”, la più bassa, e siamo arrivati a un immobile di classe “A4”, la più alta. Ciò ha richiesto tutta una serie di lavori come la coibentazione interna, rinunciando a metri quadrati di casa e utilizzando un termointonaco fatto di elementi naturali quali calce idraulica, argille, fibre di legno. La casa non aveva fondamenta, si è dovuto scavare per realizzare le sotto-murazioni necessarie per l’efficientamento energetico. Abbiamo anche evitato di abbattere, smontandoli, gli elementi di costruzione: coppi di cotto secolari, travi in castagno, pietre, ferro. Che abbiamo poi riutilizzato nel cantiere o per gli arredi, grazie al lavoro di artigiani locali.

La certificazione CasaClima Welcome è stata una sorta di sfida nella sfida?

Esattamente. Abbiamo avviato il percorso che ci ha poi portato alla certificazione con lo Studio associato di Ingegneria e Architettura Rossi e Poggi di Genova, che ha fatto un lavoro eccelso lungo tutto il cantiere. Poi, grazie di nuovo a EticLab, ho conosciuto l’architetto Paolo Lanfranconi, esperto di bioarchitettura e bioedilizia, che mi ha parlato del protocollo CasaClima. L’ho visto subito come una doppia opportunità: ci consentiva di avvicinarci molto alle nostre aspettative, elevatissime, in  termini di sostenibilità; e indicava una meta precisa, la certificazione appunto, che sarebbe potuta essere utile in termini di posizionamento e comunicazione. Una volta ottenuta la certificazione, ricordo che Agenzia CasaClima stessa disse che avrebbero fatto di Cà de Buio una case history. Ma abbiamo aggiunto anche elementi non previsti dal loro protocollo, come l’impianto di fitodepurazione per il riutilizzo delle acque reflue.

Che percorso parte da oggi in poi?

Oggi siamo concentrati nel far partire l’attività di ricezione turistica e abbiamo deciso di promuoverla senza l’utilizzo delle usuali piattaforme mainstream, perché è difficile far capire la ricchezza del nostro progetto attraverso servizi che inevitabilmente appiattiscono un po’ le narrazioni. Oltre al lavoro sull’indicizzazione del sito web, sul canale Instagram e naturalmente col buon vecchio passaparola, aderiamo invece a piattaforme come Ecobnb che sentiamo tagliate su di noi. Il mio sogno è che Cà del Buio possa contaminare il territorio. Per restare nella metafora che so cara a (RI)GENERIAMO, quella dei nanetti che picconando estraggono pietre preziose che altrimenti resterebbero nascoste, sarei felice se questo progetto ispirasse altri soggetti, persone e organizzazioni, a “tirar fuori il nanetto che è in loro” per poter picconare insieme alla ricerca delle pietre preziose che questo territorio, fertile, indubbiamente possiede. Ma che vanno prima scoperte e poi valorizzate.

Posted by:andytuit

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